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RedazioneOggi è la giornata dove celebriamo il made in Italy, di cui siamo tutti certamente orgogliosi, un sentimento che appartiene anche agli operatori del Food&Beverage.
Nel 2024 il made in Italy agroalimentare si è imposto sui mercati internazionali con un export che ha raggiunto i 67 miliardi di euro (+8% sul 2023), di cui ben 57 miliardi sono rappresentati da prodotti trasformati del settore Food&Beverage (+9,5% a valore). Tuttavia, i mercati esteri non sono privi di sfide. Una delle principali preoccupazioni riguarda i nuovi dazi imposti e poi spostati di qualche mese dall’amministrazione Trump.
La spada di Damocle resta sospesa: negli Stati Uniti – il mercato di destinazione estera più importante per i prodotti alimentari italiani – vi è un’ampia gamma di eccellenze made in Italy: il 41% delle acque minerali, il 32% dell’olio d’oliva, il 30% degli aceti, il 26% dei liquori e il 25% dei vini imbottigliati fermi e frizzanti.
Ma il nostro made in Italy funziona anche da calamita per chi in Italia ci viene in vacanza. Tant’è che il turismo italiano si nutre specialmente di cibo e vino. L’ultimo Rapporto sul Turismo Enogastronomico Italiano non lascia dubbi: la “villeggiatura del gusto” in Italia cresce, sfonda quota 40 miliardi di euro e, a differenza di altri segmenti in affanno post-Covid, viaggia a ritmo record.
E cosa stuzzica la gola?
Il vino innanzitutto (38,1% delle preferenze), seguito dall’olio extravergine (24%) e dall’evergreen pizza (22%). Ma al di là degli ingredienti, il viaggio del gusto è così popolare perché capace di fondere cultura, territorio e anche… edonismo.
Ma il nostro made in Italy agroalimentare, purtroppo, deve fare i conti – oltre che con i dazi americani – anche con le subdole imitazioni, il cosiddetto italian sounding: Parmesan, Fresh Buffalo Mozzarella, Gorgonzola-like cheese, Jambon de Parme, ma anche Spaghetti Bologna o Farfalle Arcobaleno. Sono tutti esempi più o meno conosciuti al grande pubblico dell’italian sounding, quel fenomeno “imitativo” che consiste nell’utilizzare elementi della cultura culinaria italiana, come ingredienti, ricette, tradizioni o persino nomi italiani, per promuovere e vendere prodotti che non sono di origine italiana.
Un giochino ingannevole che rappresenta un danno di 63 miliardi di euro all’anno per i nostri produttori. Altro che dazi!
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