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RedazioneParlando di dazi che l’amministrazione Trump ha prima imposto e poi, al momento, temporaneamente riposto per 90 giorni, analizziamo quelli che riguardano i produttori del food & beverage e della gabella del 20%.
Il problema c’è, ed è grosso, ma è stato solo temporaneamente rimandato. L’alert per gli operatori vitivinicoli resta alto, ecco quanto afferma Ettore Prandini, Presidente Coldiretti: «Le esportazioni del settore vitivinicolo fortunatamente nel 2024 hanno raggiunto un record storico, superando gli 8 miliardi. Il primo mercato per importanza resta quello statunitense. La preoccupazione dell’introduzione di dazi comunque è significativa in quanto andrebbe a posizionare il nostro prodotto solo su una fascia altissima in termini di riferimento sul mercato che più di altri è cresciuto in questi anni. Sotto questo punto di vista sarà fondamentale continuare a tenere attivati i canali della diplomazia perché questa situazione di carattere incresciosa possa rientrare in tempi brevi e ritornare a fare in modo che le nostre imprese abbiano certezza in una crescita costante che ci ha contraddistinto negli ultimi anni».
La domanda che gira fra gli operatori è se alla fine questi dazi saranno davvero un problema per tutti i produttori italiani o solo per alcuni. Il pensiero di Lamberto Frescobaldi, Presidente Unione Italiana Vini: «È un problema grosso, specialmente per tante aziende – che siano piccole che siano grandi – che in questi anni hanno creduto fortemente nel mercato statunitense, quindi, ahimè, sono molto esposte percentualmente sulle vendite, penso ad alcune aziende di Montalcino, alcune aziende del Barolo, del Piemonte, grandi vini anche l’Amarone, grandi vini in tutta Italia che lì ci hanno creduto, hanno lavorato e questo ovviamente preoccupa molto tutta la filiera».
Fra gli operatori ci sono però considerazioni diverse, non tutti pensano che questi dazi, con l’auspicio che Trump alla fine faccia un passo indietro definivo, siano poi alla fine davvero un problema, questo il commento di Cristina Ziliani, azienda Berlucchi: «Secondo me dipende molto dal territorio, dalla categoria di prodotto: sicuramente per alcuni prodotti e territori che storicamente hanno una grande presenza internazionale e soprattutto sul mercato americano ovviamente peserà moltissimo; su categorie come, ad esempi,o Franciacorta che ha una presenza sia all’estero ma non così determinante, probabilmente non peserà così tanto, certo è che ritengo che le categorie che hanno storicamente esportato molto, dovranno riversare sia sul mercato nazionale che europeo i prodotti che verranno forse limitati nella vendita all’estero».
C’è poi fra gli operatori chi guarda al bicchiere mezzo pieno e, dazi sì dazi no, guarda al futuro con un certo ottimismo, come Jose Rallo, azienda Donnafugata: «Io ritengo che l’imprenditore specie nel mondo vitivinicolo debba guardare sempre la realtà a 360°. Il tema dazi sicuramente è un tema che riguarda il pricing ma non è un tema che non si possa affrontare con altre carte: la promozione, la comunicazione, il marketing, l’enoturismo perché no, sappiamo tutti che lo statunitense, il visitatore che arriva in cantina, assaggia, gode del territorio, riconosce il prodotto come un prodotto di territorio, identitario non lo vuole perdere. Io non posso pensare che il consumatore più ricco del mondo si faccia dare le istruzioni su cosa acquistare e cosa non acquistare dal proprio Governo, non ci credo: verrà a fare turismo in Italia, comprerà i nostri prodotti una volta tornato a casa sua, è innamorato dell’Italia e dell’Europa… non si può cancellare».
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