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Redazione
Il Food Delivery – nonostante non registri i trend di crescita del periodo Covid – detiene pur sempre una soddisfacente quota di mercato: oggi vale più di 7 miliardi di euro di fatturato annuo e, fino al 2028, si stima possa crescere ogni anni del +8% (dati di Statista).
Un servizio, quello del delivery, dove la tecnologia digitale ha un ruolo primario per questo il business è concentrato nelle mani di pochi operatori multinazionali, ma è un business gradito anche ai ristori, almeno stando a quanto afferma una ricerca SWG commissionata da Deliveroo dove, oltre il 75% dei ristoranti partner, dichiara che la piattaforma porta nuovi clienti, generando visibilità e ordini aggiuntivi.
Food Delivery che piace molto – in special modo alla GEN Z – perché è a portata di smartphone (strumento inseparabile) e piace anche per un’offerta trendy e smart. Basti pensare che negli ultimi 12 mesi solo su Glovo il consumo di poke è cresciuto del +192%, confermando l’Italia come uno dei mercati più vivaci al mondo.
Tutto bene allora? Non proprio, perché se da un lato il 37% dei ristoratori intervistati indica un impatto positivo sul fatturato, e un quarto sottolinea la possibilità di crescere senza investimenti iniziali, dietro queste cifre si cela un sistema in cui i margini effettivi dei ristoratori restano spesso compressi da commissioni elevate, che superano il più delle volte anche il 30 per ordine.
E neanche le multinazionale del cibo su due ruote se la passano poi tanto bene. A sottolineare la crisi del comparto il Financial Times scrive che da quando si sono quotati, i colossi del food delivery – da DoorDash, a JustEat, a Delivery Hero (Glovo) e Deliveroo – hanno accumulato perdite per 20,3 miliardi di dollari, imponendo agli investitori un passo indietro. Insomma il delivery per loro non è proprio l’eldorado che ci si attendeva. Ne tantomeno lo è per chi il cibo lo va a consegnare.
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