Il vino de-alcolato è un nuovo trend sul quale le politiche comunitarie stanno spingendo: l’UE vede il vino classico come un pericolo pubblico. Posizione del tutto discutibile, ma il trend pare giunga anche dal mercato e dai consumatori e questo cambia un po’ le regole del gioco.
Al recente Vinitaly Paolo Castelletti – segretario generale di Unione Italiana Vini (UIV) – ha aperto i lavori della tavola rotonda “Dealcolati & Co – le nuove frontiere del vino” con questa affermazione: «In Italia il 36% dei consumatori è interessato a consumare bevande de-alcolate, potenzialmente un milione di consumatori. Non è un numero trascurabile. Cosa fare, considerando che non è ancora possibile per le imprese italiane elaborare il prodotto negli stabilimenti vitivinicoli e non sono state fornite indicazioni agli operatori sul regime fiscale. In estrema sintesi, il prodotto può circolare anche in Italia (come in tutta l’UE), ma i produttori italiani non possono produrlo».
Ma de-alcolare il vino significa sottoporlo ad un ulteriore processo produttivo che ha un impatto ambientale di non poco conto il che, per certi versi, va contro a quello che il consumatore vuole. Secondo un sondaggio di TheFork, infatti, c’è stato un aumento significativo nella propensione dei consumatori a preferire ristoranti che adottano pratiche sostenibili, ben il 61% dei consumatori preferiscono ristoranti sostenibili.
Ma cosa significa, davvero, essere un ristorante sostenibile?
Secondo il sondaggio TheFork, per oltre la metà (56,5%) il segreto sta nell’utilizzo di ingredienti biologici a Km 0 e di stagione. E per i vini de-alcolati, che certamente non sono un toccasana per l’ambiante? Vedremo…
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