Food Social Impact è l’evento organizzato dal Gruppo Food dal titolo “True food cost accounting: misurare l’impatto per governare il cambiamento nella filiera agroalimentare”. Un appuntamento dedicato al mondo del Food&Beverage italiano che si è riunito per discutere i punti in agenda dei player del settore quando si parla di sostenibilità – declinandola in tre pillar ovvero Nutrizione, Ambiente, Persone.
Per l’occasione sono anche stati presentati i risultati di un sondaggio condotto dal Gruppo Food su un campione rappresentativo della propria business community, composta da 18.500 aziende dell’industria alimentare e della GDO, da cui è emerso un dato significativo: oltre l’84% degli intervistati ritiene praticabile la riduzione dell’impronta ambientale del settore nei prossimi cinque anni. Un segnale positivo che sottolinea l’impegno e l’ottimismo degli operatori del comparto verso un futuro dell’agroalimentare sempre più sostenibile.
Per l’occasione è stato presentato in anteprima l’Indice di Impatto Socio-ambientale della Filiera Agroalimentare (ISFA), condotto da Up2You, società benefit e B Corp che crea soluzioni e percorsi personalizzati per rendere la sostenibilità un vantaggio competitivo per le aziende, qual è il punto di partenza di questo studio?
Ce ne parla Alessandro Broglia, Chief Sustainability Officer di Up2You. «Qual è il punto di partenza del nostro studio? È il fatto che ogni alimento ha un prezzo reale che è più alto di quello che vediamo alla cassa ed è un prezzo che include tutti gli impatti, tutti i costi nascosti che quell’alimento ha sulla collettività, quindi toccando gli aspetti di impatto ambientale o di impatto sulle persone, sulla salute e sono costi che di fatto paghiamo come collettività, però sono appunto nascosti. E l’obiettivo di questo indice di impatto socio-ambientale della filiera agroalimentare è quello di rendere visibili tutti questi costi nascosti, andando a quantificarli ed esprimerli proprio come in euro per kg di prodotto, che può essere quindi facilmente sommato al prezzo classico che vediamo al supermercato. Lo studio si è focalizzato su sette diverse filiere agroalimentari, che sono ovviamente fondamentali in Italia ma anche in Europa e sono quella del bakery, quella della pasta, le conserve, i surgelati, carni e salumi, latticini e ortofrutta. Per fare qualche esempio, in media l’aumento percentuale di prezzo supera il 40% per la gran parte dei prodotti. E un altro aspetto interessante è che questi sono dati medi per la filiera, ma facendo questo studio anche per le singole aziende, per i singoli prodotti, si può andare effettivamente a valutare quanto siano più o meno virtuosi rispetto ad altri, diventando quindi uno strumento di confronto e di benchmark o rispetto anche ad altre filiere. Quindi da un lato capendo dove l’azienda, il prodotto può migliorare, perché magari ci sono delle fonti di impatto più rilevanti, dall’altro andando a valorizzare le scelte virtuose che l’azienda o il singolo prodotto può fare, fornendo quindi sia come strumento di valorizzazione degli impegni presi, sia come strumento di miglioramento per il futuro delle singole aziende».
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