Beverage alcolico, un settore alle strette, parrebbe, dato il trend salutistico e le restrizioni del codice della strada, ma a livello globale le indicazioni sono positive.
In base alle previsioni pubblicate da IWSR, uno dei leader nei dati e negli approfondimenti, il mercato globale delle bevande alcoliche dovrebbe crescere di 16 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni. IWSR, inoltre, ha pubblicato la sua prima previsione decennale, prevedendo una crescita del valore di 34 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni nei mercati chiave. Va detto, però, che a beneficiare di questa crescita saranno i mercati in via di sviluppo come l’India – che probabilmente sarà il principale motore di crescita per il prossimo decennio – seguita da Brasile e Messico.
Questo è quanto affermano i manager di IWSR: «Queste previsioni riflettono la portata del cambiamento in atto in funzione della combinazione di cambiamenti demografici, cambiamenti nei modelli di crescita economica e la tendenza alla moderazione di lungo periodo nei mercati più maturi, come quello italiano appunto. Parlando di mercato italiano, nello specifico parlando di uno spirit tipicamente made in Italy come la grappa, va detto che negli ultimi dieci anni l’andamento delle vendite della grappa ha mostrato un quadro composito, fatto di cali importanti. Molti produttori segnalano una diminuzione significativa della domanda».
Per commentare il trend della grappa, ma anche le opportunità che questo nobile distillato può ancora cogliere, abbiamo chiesto ad Andrea Maschio, AD della Distilleria Bonaventura Maschio, come è stato fronteggiato e gestito dai produttori il calo della domanda di grappa di questi ultimi 10 anni? R.: «Se guardiamo il trend dei consumi di tutti i prodotti alcolici in realtà è negativo da cinquant’anni un po’ per stili di vita, un po’ per mille motivi ma se guardiamo il consumo pro capite di cinquant’anni fa e quello di oggi è veramente impressionante. Quello che è cambiato negli ultimi dieci, più o meno, anni è l’approccio al consumo, le modalità di consumo: se assistiamo ad un calo della bevuta in purezza, per cui meno superalcolici bevuti a fine pasto, meno bottiglie di vino sui tavoli, vediamo però una crescita per esempio della miscelazione per cui è cambiato il modo in cui beviamo; questo ovviamente comporta una crescita di prodotti che sono più in linea con questa miscelazione per cui un raddoppio negli ultimi dieci anni delle quote del gin, il Vermouth, Bitter, amari in generale che stanno vivendo una seconda giovinezza in qualche modo».
Per il mondo grappa, nello specifico, cosa si può fare e quali opportunità ci sono da cogliere? R.: «Cosa possiamo fare per la grappa? Da un lato la mixology non può essere la cura, non può essere l’unica soluzione perché può essere solo una nicchia, possiamo iniziare a raccontarlo anche consumandolo in maniera diversa. Quello di cui ha bisogno la grappa è la comunicazione, è far capire quanto c’è di unico in questo distillato. Le aziende fino adesso hanno comunicato in maniera disgiunta, cioè ognuno per i fatti suoi, disperdendo un sacco di energie. In qualche modo dobbiamo cercare di comunicare in modo univoco. La novità grossa degli ultimi anni è proprio l’attribuzione di una indicazione geografica per cui una IG grappa e, finalmente, la creazione di un consorzio nazionale. Questo, secondo me, cambierà il modo in cui comunichiamo: fino ad oggi se ogni azienda parlava raccontava le differenze tra il proprio prodotto e quello dei colleghi, ma questo ha generato ancora più confusione nel consumatore, invece, pensate come raccontare le cose belle che tutte le grappe hanno: una radice fortissima nel territorio, l’indicazione geografica vuol dire che è un orgoglio italiano… parliamo di quello, parliamo del fatto che è un esempio perfetto di sostenibilità, di economia circolare: in qualche modo prendiamo una materia prima a fine ciclo, esausta, usata per il vino e le diamo una nuova vita, addirittura tiriamo fuori da quella materia prima un sacco di profumi, cerchiamo di prendere il meglio e di concentrarli in una gocciolina. È una storia di riscatto in qualche modo, è bellissimo! E anche il mio scarto può essere riutilizzato, per esempio come fertilizzante. In qualche modo siamo perfettamente dentro un discorso molto attuale dell’economia circolare, però, queste cose qui non le diciamo, le diciamo poco o le diciamo in maniera molto dispersiva. Il consorzio, invece, ha la possibilità di raccontarle molto meglio, non tanto le differenze ma le cose che abbiamo in comune. Per me quello sarà la forza dei prossimi anni per noi produttori».
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