In pieno svolgimento in questi giorni a Verona l’edizione numero 56 di Vinitaly, uno dei punti di riferimento internazionali più importanti del settore. Chi produce, chi compra e chi vende, da oggi fino a mercoledì, in qualche modo è a Verona.
Non mancano anche i politici che stanno facendo parecchia passerella e quest’anno c’è stato anche un flash mob al momento del discorso inaugurale il ministro Lollobrigida: interrotto da due attivisti che hanno reclamato per l’equiparare il vino alla cannabis.
E se dentro in fiera ci sono vino, economia, istituzioni e contestazioni, a Verona in questi giorni il meglio è anche fuori con “Vinitaly and the City”, una scommessa iniziata qualche anno fa e ormai diventata un punto di riferimento per le serate con incontri, spettacoli, eventi aperti alla città.
Il comparto vitivinicolo è uno dei settori chiave dell’economia italiana, senza vino l’Italia taglierebbe il suo PIL di 1,1%, perderebbe una produzione di 45,2 miliardi di euro e un valore aggiunto di 17,4 miliardi. Questo è il “costo” stimato dall’Osservatorio Uiv-Vinitaly e da Prometeia di “un’Italia senza vino”. Il lavoro è stato presentato al Vinitaly con l’incontro intitolato “Se tu togli il vino all’Italia. Un tuffo nel bicchiere mezzo vuoto”.
L’iniziativa è stata organizzata anche in risposta alla forte offensiva di impronta salutista lanciata da organizzazioni internazionali come l’OMS e da alcuni Paesi (rigorosamente non produttori) contro le bevande alcoliche. Un’offensiva che non distingue tra bevande in base al differente consumo di alcol né tra abuso e consumo moderato e ai pasti. E che, soprattutto, discrimina fortemente il vino, la sua storia millenaria e la sua valenza identitaria per Paesi come l’Italia nel quale il vigneto è parte integrante del paesaggio e la produzione vinicola (anche grazie all’enoturismo) è volano di sviluppo economico per economie periferiche e rurali altrimenti condannate alla povertà e allo spopolamento.
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