Per gli italiani parlare di vino non è certamente un affare da poco: un comparto che, nel complesso, vale oltre 17 miliardi di euro – pari al 22% del totale delle vendite del Food & Beverage del Paese – un settore che fra vini, spiriti e aceti nel 2022 ha esportato per oltre 9 miliardi di euro, con 2.300 imprese e 30 mila occupati, senza considerare l’indotto.
Un mondo pronto a trovare la sua grande vetrina in un evento clou come la 55ª edizione di Vinitaly, dal 2 al 5 aprile a Verona.
Che previsioni per il mondo vino? La lettura è in chiaro scuro.
Secondo Micaela Pallini, presidente Federvini, le previsioni per il 2023 non sono incoraggianti: «Da un lato il mercato interno è segnato da alti valori di inflazione e bassa crescita del Pil e dall’altro subiamo un attacco senza precedenti alla reputazione dei nostri settori; una tendenza a non distinguere tra consumo e abuso di alcol, disconoscendo che un consumo consapevole e moderato è compatibile con uno stile di vita e una dieta equilibrati, come l’Italia dimostra meglio di qualsiasi altro paese al mondo».
Però l’export si difende molto bene, nonostante il perdurare della guerra ed i rincari stellari delle materie prime, dei trasporti e delle bollette energetiche, l’export di vini italiani resiste. Molto buoni i numeri, trainati dai fine-wine specie nella ristorazione.
Amarone, Barolo e Chianti Classico sono i “re di cuori” delle bottiglie premium, specie in Stati Uniti e Cina; è quanto emerge dalla ricerca qualitativa realizzata dall’Osservatorio Edoardo Freddi International sui trend dell’export di vini italiani nel mondo.
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